Attualità

FinalSpark, bioprocessori con tessuto cerebrale umano: addio normali chip

39views

L'era dei computer organici è già iniziata? A giudicare dalle ultime notizie provenienti dalla Svizzera, sembrerebbe proprio di sì. Scintilla finale, una giovane e ambiziosa startup, ha appena annunciato di aver sviluppato i primi bioprocessori commerciali della storia. Dispositivi che non solo aprono prospettive completamente nuove nel campo dell'informatica, ma che potrebbero anche contribuire a risolvere uno dei problemi più pressanti del settore: l'enorme consumo energetico. Come funzionano? Scopriamolo insieme.

Un approccio rivoluzionario all'elaborazione dei dati

La “neuropiattaforma” di Scintilla finale è un cambio di paradigma radicale rispetto ai tradizionali processori al silicio. Invece di basarsi su circuiti elettronici, questa tecnologia sfrutta direttamente il potenziale computazionale dei neuroni biologici, coltivati ​​in vitro sotto forma di organoidi cerebrali umani.

Un'architettura definita “wetware”, che fonde biologia, software e hardware in un modo mai visto prima.

Secondo quanto riportato dalla startup nel suo documento di ricerca (che ti linko qui), il cuore del sistema è costituito da quattro “multi-electrode arrays” (MEA), ognuno dei quali ospita quattro organoidi di tessuto cerebrale umano. In totale, quindi, la piattaforma può contare su ben 16 “mini-cervelli” interconnessi, capacità di apprendere e elaborare informazioni in modo autonomo.

Bioprocessori ai “micro cervelli”, potenzialità e interrogativi aperti

Le implicazioni di questa tecnologia, se confermata, sarebbero enormi. FinalSpark sostiene infatti che i suoi bioprocessori consumando fino a un milione di volte meno energia rispetto ai chip convenzionali. Un dato sbalorditivo, che potrebbe rivoluzionare settori ad alta intensità di calcolo come l'intelligenza artificiale e l'analisi dei big data. Basti pensare che, secondo le tempistiche riportate dalla startup (non lontane da una verità largamente accertata), l'addestramento di un modello di linguaggio come GPT-3 richiede circa 10 GWh di elettricità, oltre 6.000 volte il consumo annuo pro capite di un cittadino europeo.

Naturalmente siamo ancora in una fase molto precoce e sperimentale. Prima di poter parlare di una vera e propria svolta, sarà necessario verificare in modo indipendente le affermazioni di FinalSpark e valutare la scalabilità di questa soluzione. Al momento, l'accesso alla neuropiattaforma è stato concesso solo a nove istituzioni, con un modello di abbonamento basato su una criptovaluta proprietaria (500 PCM al mese per utente). Un approccio che solleva più di un interrogativo sulla reale maturità e sostenibilità del progetto.

Ma le sfide da affrontare non sono solo tecniche ed economiche.

Questioni etiche e di sicurezza

L'utilizzo di tessuto cerebrale umano per scopi computazionali apre una serie di questioni etiche e di sicurezza che non possono essere ignorate. Quali sono i rischi di un uso improprio o malevolo di questa tecnologia? E come regolamentare un settore così nuovo e complesso?

Se è vero che i bioprocessori potrebbero aprire orizzonti straordinari per il progresso umano, è altrettanto vero che non possiamo permetterci di procedere alla cieca, senza considerare tutte le implicazioni e le responsabilità connesse a questo passo.

Bioprocessori, il futuro ancora da scrivere

In conclusione, l'annuncio di FinalSpark rappresenta senza dubbio un momento storico per l'informatica e la biomedicina. Ma è solo l'inizio di un percorso tutto da esplorare, fatto di opportunità e di insidie, di speranze e di incognite. Sta a noi, come società, trovare la strada giusta per cogliere i frutti di questa rivoluzione senza perdere di vista i valori ei principi che ci ci sono come esseri umani.

Non è in gioco il futuro dei computer, ma il nostro: un futuro in cui la frontiera tra biologico e artificiale si fa sempre più sottile e sfumata. Un futuro in cui, forse, saremo chiamati a ridefinire il significato stesso di intelligenza (e magari di coscienza). I bioprocessori ci aiuteranno a scriverlo un bit, anzi, un neurone alla volta.

Leave a Response