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venerdì, Novembre 22, 2024
Attualità

l'esercito va potenziato. Dobbiamo fare in fretta»

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«L'Esercito attuale deve essere rivisto sotto diversi profili. Sono cambiati gli scenari, le minacce e, quindi, sono cambiate le esigenze, non solo le nostre ma anche degli altri Paesi Nato. Vanno rivisti soprattutto i principali sistemi d'arma, potenziati gli strumenti, ma anche adeguate le strutture, i sistemi addestrativi, le procedure d'impiego. Si tratta, in sostanza, di un'innovazione a tutto campo, in cui la tecnologia è un fattore cruciale ma resta il mezzo, non il fine. E bisogna sbrigarsi a farlo, perché non sappiamo cosa accadrà. Mentre politica e diplomazia fanno il loro lavoro, noi dobbiamo impegnarci a farci trovare pronti, sperando di non dover mai entrare in azione. Ecco perché l'Italia deve diventare una nazione con una capacità di deterrenza reale e credibile». Il generale di Corpo d'Armata Carmine Masiello, da febbraio Capo di Stato Maggiore dell'Esercito – il primo proveniente dai paracadutisti della Folgore a ricoprire questo incarico – lo dice chiaramente. E lo fa alla vigilia del 163° anniversario della creazione dell'Esercito italiano, derivante dall'Armata sarda, il 4 maggio 1861, ma anche nel giorno delle celebrazioni della ricorrenza, con la cerimonia in programma venerdì mattina a Tor di Quinto, a Roma, anche con addestramento dal vivo di reparti speciali, elicotteri e una carica di cavalleria.

Generale, da un punto di vista militare, la guerra in Ucraina cosa ci sta insegnando?
«E' un conflitto che ha cambiato i paradigmi sul campo: siamo tornati al confronto fra unità meccanizzate e corazzate, all'uso delle artiglierie, carri armati, macchine specializzate per la mobilità e contro-mobilità, perfino alle trincee. Per noi europei, che veniamo da 20 anni e più di missioni di pace all’estero, è stato dirompente. A questo si uniscono poi l'utilizzo massiccio di droni e l'importanza fondamentale dei nuovi domini, della guerra cibernetica, della disinformazione sfruttata per orientare le opinioni pubbliche, ma anche il morale dei combattenti. Servire molta attenzione e bisogna attrezzarsi per i grandi cambiamenti nel modo di combattere. Scambiare informazioni con l'Intelligence è fondamentale».

Venire?
«Tecnologia, addestramento, valori. Saranno i filoni sui quali articolerò il mio mandato. Per troppo tempo l'Esercito non è stato considerato una Forza Armata tecnologicamente. Bisogna stare al passo con i mezzi a disposizione di eventuali avversari. C'è da recuperare anche un gap con le sorelle Forze Armate, la Marina e l'Aeronautica, che in questo sono più avanti: se nel sistema di difesa c'è uno solo dei fattori che tendono a zero, anche il prodotto sarà zero. Vanno accorciati i tempi di individuazione delle tecnologie che ci sono necessarie, è indispensabile sburocratizzare le procedure di acquisizione ed essere sempre aderenti alla velocità del mondo che evolve. E che l'industria della Difesa, non solo quella italiana ma anche quella europea, capisca il momento particolare che stiamo vivendo e faccia gli investimenti necessari per rispondere alle necessità delle Forze Armate. In questo ambito, il Ministro Crosetto si è già adoperato per accelerare proprio le procedure. L'auspicio è quello di avere presto una vera Difesa europea».

C'è una priorità?
«Fra le tecnologie più urgenti da acquisire rientrano sicuramente quelle incentrate sull'integrazione delle capacità collegate al dominio cibernetico e alla gestione dello spettro elettromagnetico, in modo da consentire alle nostre unità di essere protette dalla minaccia proveniente dalla terza dimensione, con droni e funzionalità “ intelligenti”: un ombrello di protezione, che noi chiamiamo “bolla tattica”. Ma penso anche alla difesa aerea del territorio nazionale, che abbiamo visto messa in pratica di recente da Israele».

Anche l'Italia corre dei rischi? E ha abbastanza soldati per difendersi?
«Chiariamoci: non siamo in guerra. Siamo in una competizione che definiamo “sotto soglia”, quindi senza superare mai certi limiti, un confronto ibrido che usa ogni possibilità, non solo militare, per danneggiare alcuni Paesi e agevolarne altri, che possiamo meglio affrontare con un quadro normativo e strumenti giuridici diversi rispetto a quelli attuali in modo da poter essere messi sullo stesso piano di potenziali avversari. Saranno anni di grande crisi, meglio farsi trovare preparati. A oggi l'organico non è sufficiente, i due scenari di guerra – Ucraina e Striscia di Gaza – ci insegnano che servire la massa, perché le forze si logorano e vanno rigenerate. Un problema che si affronta con un incremento anche modesto delle consistenze delle singole Forze Armate – servono almeno 10mila soldati in più, come affermato dall'Ammiraglio Cavo Dragone, Capo di Stato Maggiore della Difesa, –, alle quali bisogna inevitabilmente affiancare riserve che consentono di aumentare gli organici all'esigenza».

Che bisogna addestrare.
«Questo è un altro punto chiave. Pretendo massima attenzione da tutta la linea di comando, l'addestramento è la nostra polizza assicurativa, la garanzia che sappiamo fare il nostro lavoro. Ho chiesto ai miei comandanti di trovare ogni occasione utile per addestrarsi. Speriamo che non sia mai necessario, ma chi combatte deve sapere che accanto a lui c'è una persona perfettamente preparata, sotto ogni profilo, e capace di svolgere il proprio ruolo, di cui fidarsi. Ci addestreremo nonostante le difficoltà e le problematiche su alcuni nostri poligoni e la scarsità di benefici, che ho già comunque chiesto di aumentare».

È anche una questione di valore?
«Certamente. Cambiano gli scenari, le armi, il modo di combattere, ma non i valori. Sono il filo conduttore della storia di un'istituzione militare e non ammettono deroghe, esitazioni o ripensamenti. La condivisione di questi valori mantiene unito un esercito e lo rende forte e resiliente nei momenti di crisi, oltre i legami gerarchici. Inoltre ho chiesto a tutti di contribuire con le proprie idee: a questo cambiamento devono partecipare tutti, dal caporale al colonnello. Il mio slogan è “le idee non hanno gradi”. Quindi che non sarà facile ma dobbiamo farlo».

Su chi punta in particolare?
«Sui giovani, sono loro gli unici capaci di intercettare i cambiamenti, le evoluzioni tecnologiche. Da loro mi aspetto un grande aiuto. Hanno idee da vendere, saranno ascoltati. E potremo proporle anche alla società civile. Cercheremo anche di salvaguardare il nostro patrimonio professionale, formato nelle nostre scuole, e di renderlo più competitivo con il mercato del lavoro. Ma ci sono tanti ragazzi e ragazze che anche di fronte a uno stipendio più alto preferiscono le stellette. Questione di valori, appunto».

L'impegno a diventare un Paese con deterrenza comporterà una rilasciata dell'impegno italiano all'estero?
«Non ne vedo il motivo. Anzi. Non c'è solo il Medio Oriente in subbuglio. Oltre al fianco est dove siamo impegnati con la Nato, dobbiamo guardare alla vicina Bosnia ed Erzegovina e alla sponda sud del Mediterraneo, con i problemi di stabilità interna ei conflitti in alcuni Paesi, ma anche il Sahel preoccupa. Ci sono interi territori in mano ai terroristi, è forte la destabilizzazione dell'area con la penetrazione militare russa e quella economica cinese. Immaginiamo cosa vorremmo dire ritirare il nostro contingente-cuscinetto fra Israele e Libano. Le missioni all'estero e il Piano Mattei per l'Africa in questo senso sono fattori di stabilizzazione».

3 maggio 2024

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